Qualche anno fa ascoltai un’intervista a Fabrizio De Andrè in cui narrava la sua esperienza in mano ai rapitori e il modo in cui sia lui che la moglie stavano cercando di elaborare l’atroce vicenda che li vide prigionieri per molti mesi nascosti tra le montagne della Sardegna.
Tra le altre cose menzionò un concetto che a distanza di tempo mi torna in mente sempre più spesso. Sosteneva di aver imparato a “non aver paura dell’uomo solo ma … dell’uomo organizzato”. Cosa intendeva dire? Semplicemente auspicava che l’uomo, con la sua coscienza addestrata e modellata secondo canoni di umanesimo, si riappropriasse della propria individualità e non demandasse ad un gruppo di appartenenza le decisioni importanti della vita. In altre parole stava mettendo l’accento sulla necessità di avere una coscienza matura e vigile in grado di valutare i fatti e le decisioni autonomamente e senza filtri preimpostati da altri, che spesso determinano un condizionamento innaturale e mortificante...
(Cosa farà il "proclamatore consapevole"?)